Io so che Alex Schwazer è innocente.
Io so che Alex non prendeva più nemmeno un’aspirina, terrorizzato com’era da qualsiasi traccia di farmaci nel suo sangue.
Io so che Alex una notte ha urlato per un banale ascesso, perché l’oppiaceo con cui noi comuni mortali sediamo il nostro mal di denti lui non volle vederlo nemmeno da lontano.
Io so che Alex, dopo l’annuncio di voler tornare in attività, ha passato indenne oltre 40 controlli, la maggior parte dei quali a sorpresa.
Io so che non ha senso assumere «una lieve quantità» di testosterone il 31 dicembre senza esserti dopato né prima né dopo, e con il ritorno in pista lontano più di quattro mesi.
Io so che prelevare un campione di urina l’unico giorno in cui i laboratori dell’antidoping sono chiusi (permettendo così a mani ignote di trattenere la provetta con sé per 24 ore) è quantomeno strano.
Io so che mancano alcuni documenti di viaggio della fialetta. E che quando questa ricompare in un laboratorio di Colonia, invece di un codice numerico che dovrebbe rendere anonimo l’atleta, sopra c’è scritto Racines, Italia. Maschio che gareggia su lunghe distanze, superiori a 3 km. A Racines ci sono 400 abitanti. E un solo marciatore.
Io so che il primo controllo su quella fialetta fu negativo.
Io so che qualcuno, mesi dopo, suggerì al laboratorio una seconda analisi, che risultò lievemente positiva.
Io so che la Wada, l’agenzia mondiale antidoping che ha stanato Lance Armstrong e gli olimpionici russi, la più alta autorità del pianeta in materia, non ha partecipato ai controlli e alle analisi su Alex, interamente gestiti dalla Federazione internazionale di atletica.
Io so che i vertici vecchi e nuovi della Federazione internazionale di atletica sono stati a lungo chiacchierati per aver chiuso un occhio nei confronti dei tesserati russi, gli stessi che Alex e il suo coach Sandro Donati hanno contribuito a denunciare.
Io so che Donati è un mago delle tabelle di allenamento e un eroe della lotta al doping.
Io so che negli anni Novanta, quando Donati scoperchiò il cosiddetto sistema Epo, due degli atleti che allenava furono vittima di un caso di provette manipolate.
Io so che Alex, nonostante tre anni e mezzo di lontananza dalle piste, marciava ancora più veloce di tutti.
Io so che alla vigilia di una gara a La Coruna Donati ricevette pressioni perché Alex non infastidisse i marciatori cinesi candidati alla vittoria.
Io so che Alex in quella gara arrivò secondo, e che gli ispettori controllavano da vicino ogni suo passo per cogliere una qualsiasi irregolarità stilistica che lo avrebbe fatto squalificare.
Io so che l’allenatore dei cinesi è Sandro Damilano, fratello dell’ex marciatore Maurizio. E che prima della 50 chilometri di Roma, lo scorso maggio, qualcuno a lui vicino chiese a Donati di «lasciare vincere Tallent», l’atleta australiano che più aveva contestato il ritorno in pista di Alex.
Io so che Liu Hong, altra marciatrice cinese allenata da Damilano, dopo quella stessa gara fu trovata positiva all’higenamine, un vasodilatatore naturale, ma venne squalificata solo per un mese. Adesso lei è a Rio per gareggiare mentre Alex no.
Io so che subito dopo questa imbarazzante fila di coincidenze saltò fuori la presunta positività di Alex. Che però gli venne comunicata oltre un mese dopo, in piena preparazione preolimpica e con un margine davvero ristretto per organizzare una difesa tecnico-legale decente.
Io so che non assistevo a una simile solerzia investigativa, e a un simile tentativo di sobillare i media, dai tempi dell’incendio del Reichstag o dell’arresto di Lee Harvey Oswald. O per restare in ambito sportivo, da quel mattino cupo a Madonna di Campiglio che spezzò per sempre la carriera di Marco Pantani.
Io so che colpire Pantani e Schwazer, sportivi amati dal pubblico ma ragazzi fragili dentro, è facile. Troppo.
Io so che in molti avevano bisogno di punire in maniera esemplare chi ha avuto il coraggio di sfidare il sistema. Quello stesso sistema che poi si ripulisce la coscienza in favor di telecamera con il Refugee Team e i palloni regalati alle favelas.
Io so che Alex si è pagato da solo la preparazione, le divise, gli scarpini, il viaggio per Rio. Che ha finito i risparmi e che ha lavorato come cameriere per mantenersi gli allenamenti. Che dormiva in un tre stelle dietro al raccordo anulare e si faceva testare i tempi su una pista comunale, accanto a runner della domenica e anziani che portavano a passeggio il cane.
Io so che ha confessato i suoi errori del passato, e li ha pagati tutti.
Io so che si stava rialzando senza chiedere aiuti o riguardi, ma solo una seconda possibilità.
Io so che a Rio 2016 quella seconda possibilità è stata data ad atleti dal curriculum sportivo molto più «stupefacente» del suo.
Io so che nessuno di quelli che contano, dal Coni alla Fidal passando per i buonisti a gettone del mondo politico e degli editoriali qualunquisti, ha ancora speso una parola se non di difesa almeno di umana solidarietà per Alex.
Io so che Alex non ha la forza misurata per disperarsi restando saggio. Come non la ebbe Pantani.
Io so che a Rio 2016 Alex sarebbe arrivato sul podio nella 50 km e forse anche nella 20 km.
Io so che su quel podio Alex avrebbe pianto di gioia. Che sarebbe stato disposto a dimenticare.
Io so che invece oggi piange di rabbia in un bar fuori dal villaggio olimpico, come un emarginato. E che sarà condannato a ricordare.
Io so che qualcuno dovrebbe vergognarsi per aver rovinato una vita.
(Gianluca Ferraris)
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“Il più forte marciatore al mondo avrebbe fatto uso di un doping da scemo, inutile e a livelli bassissimi”, ha commentato a caldo il 22 giugno Sandro Donati, decano della lotta al doping e allenatore di Alex da quando è tornato a marciare. A quanto pare la risposta è sì, stando alla decisione arrivata il 10 agosto, con un giorno di anticipo. Il Tas accoglie le richieste della Iaaf e squalifica Schwazer per altri otto anni. Il marciatore può ancora presentare un ricorso alla Corte federale svizzera, ma comunque il sogno olimpico muore qui.
Conflitto d’interessi palese
In virtù delle dichiarazioni del marciatore di Racines, la procura di Bolzano è risalita a una lista di nomi di atleti con valori del sangue “sospetti”, in possesso del medico italiano Giuseppe Fischetto. Il Sunday Times e il canale tedesco ARD hanno parlato di cinquemila atleti, l’80 per cento dei quali russi.
Fischetto è stato primario del pronto soccorso di Frascati (andato in pensione nel 2012), dal 1990 è responsabile medico Fidal e dal 2003 è membro della commissione antidoping della Federazione internazionale di atletica per conto della quale programma e fa eseguire i controlli. Un conflitto di interessi abbastanza palese dal momento che in lui coincidono il controllore e il controllato, in quanto rappresenta l’Italia, una delle 200 nazioni affiliate alla Iaaf.
Mentre la procura di Bolzano continuava (e continua) a processare Fischetto in sede penale per favoreggiamento del doping, il dottore ha svolto il ruolo di responsabile antidoping ai Mondiali di atletica 2015 e anche alla gara di coppa del mondo a Roma l’8 maggio scorso, quella in cui Alex Schwazer è tornato a marciare dopo aver scontato la squalifica.
Dice Fischetto di Schwazer, in una telefonata intercettata con Rita Bottiglieri, sotto processo pure lei, il 18 giugno 2013 (che Repubblica ha fatto sentire nel documentario di Attilio Bolzoni qualche giorno fa): “Questo crucco comunque addamorì ammazzato, devono inc*larsi la Kostner”.
Ma è più rilevante quanto afferma Fischetto alcuni minuti prima al telefono con un amico: “Io spero non ci siano fughe di notizie perché succede un casino internazionale: sai metti che vengono fuori dei dati dei russi più che non dei turchi più che non degli altri, perché io sono nella commissione mondiale, tu lo sai, della Iaaf”. Proprio la Iaaf di cui parla Fischetto, e della quale è collaboratore pur essendo sotto processo, ha deciso di inviare il controllo di capodanno.
Un controllo controverso sotto tanti punti di vista, innanzitutto perché non rispetta la regola dell’anonimato visto che nel documento che accompagna le provette (se ne prendono sempre due per analisi e controanalisi) si legge la provenienza: Racines. Vale la pena ricordare che nel paese dell’Alto Adige vivono circa quattromila persone e un solo atleta professionista: Schwazer. Poi i tempi: perché il prelievo è stato fatto il 1 gennaio e la positività l’ha rivelata La Gazzetta dello Sport il 22 giugno, oltre sei mesi dopo e a una quarantina di giorni dall’inizio dei Giochi. Nel frattempo Schwazer si è sottoposto in tutto ad altri venti controlli delle urine e del sangue risultando sempre negativo, anche nell’ultimo fatto a giugno.
Togliere il disturbo
Dalla rinascita, alla creazione di un cyber cowboy dalla storia lacrimevole, fino alla consacrazione nella geopolitica internazionale, oppure per semplici giochi di potere e ricchezza personali (è notizia recente l’arresto del team manager dell’atletica keniana per una mazzetta da diecimila dollari per elusione dei controlli), il doping in questi anni è diventato un mezzo per volare ben al di sopra dell’ambito sportivo.
Un mondo opaco in cui sono coinvolti allenatori, medici, dirigenti, fino ai detentori del potere politico tout court, ma nel quale incredibilmente a rischiare tutto rimangono solo gli atleti e i loro corpi. E Schwazer ne rimarrà invischiato per sempre, mentre i Giochi sono in corso e mancano pochi giorni alla gara che voleva più di tutte, la 50 km di marcia che si terrà il 19 agosto. Lui non ci sarà, ormai è chiaro. Il Tas ha anticipato di un giorno la sentenza per dire al mondo che Alex Schwazer è un dopato recidivo, perché questo significa essere squalificati per otto anni.
E significa anche la fine di una carriera. Perché al di là della prosecuzione dell’iter giuridico in cerca di giustizia, un dato è chiaro: non ci sarà mai più il marciatore Alex Schwazer.
(fonte: QUI)
e adesso non fare la fine di Marco Pantani! Resisti Alex e costruisciti la tua vita! Siamo con te! AUGURI, FORZA E CORAGGIO! |
Tutte informazioni sbagliate direttore, e le info reali sulla iaaf sono messe in relazione in modo spropositato con questo caso doping.
RispondiEliminaLa quantità di testosterone non è irrilevante, basta che ci sia, sono le regole che valgono per tutti gli atleti del monfo
Il testosterone trovato è compatibile con l'uso di microiniezioni ed anche se avesse preso doping inutile è sempre doping, sono le regole
Un solo controllo è piu che sufficiente a squalificare un atleta. Vale in tutti gli sport da sempre, non capisco perchè adesso vi inventate che ci sia bisogno di altri controlli di conferma. Una positività corrisponde a doping
La tempistica lunga è già stata spiegata, il campione inizialmente analizzato con normali controlli, successivamente messo a confronto con gli altri controlli IAAF ha dato una anomalia sul profilo steroideo del passaporto biologico, proprio sul 1 gennaio. Per questo è stato effettuato un nuovo controllo piu specifico per confermare la presenza di testosterone. Il testosterone c'è, positivo senza dubbio quindi squalificato
La scritta dela città di provenienza (in questo caso racines) appare solo sul modulo della catena di controllo, che traccia solo gli spostamenti del pacco delle urine; tale modulo non entra nel laboratorio, quindi l'anonimato è assicurato.
Inoltre su tutti i controlli antidoping c'è il modulo della catena di controllo e viene scritta la città di provenienza per qualsiasi atleta, dato che è un modulo di tracciamento di un pacco e come già detto non entra nel laboratorio
Pertanto le vostre affermazioni sono inesatte e vi prego di smetterla nella diffusione di informazioni fuorvianti; vi consiglierei di documentarvi in modo esaustivo presso le istituzioni sportive sui protocolli antidoping
Il suo intervento qui è fuori tema e pertanto ciò che lei invita "documentarvi in modo esaustivo presso le istituzioni sportive sui protocolli antidoping" è un "consiglio" che non ha senso. Qui non si discute del sistema doping e antidoping e nemmeno si danno informazioni inesatte e fuorvianti. Quello che ha descritto qui è ripetuto in milioni di pagine sul doping e il "vi prego", invece, viene da parte nostra, relativamente dato che non abbiamo nessuna voglia di cadere nelle eterne discussioni e dibattiti che non condurrebbero a niente se non quello di farci perdere tempo e pazienza. Errata è la sua dicitura: "AFFERMAZIONI". Qui l'autore non AFFERMA.. ma semplicemente RIFLETTE E ESPONE IL SUO PARERE RELATIVO AL SUO PENSIERO. Poi OGNUNO E' LIBERO DI PRENDERSI LA SUA STRADA che crede meglio. Ma sempre con rispetto verso il prossimo con le sue libertà di espressione. Ma appare chiaro che il presente scritto postato non è stato interpretato nella giusta maniera e nemmeno capito. O forse lo ha capito ma alla fine, deliberatamente ignorato, distogliendo il lettore esclusivamente sul tema "doping anti-doping: classico comportamento da debunker.
EliminaPertanto siamo noi che scriviamo "vi prego di smetterla e di non inviare risposta alcuna".
Almeno cordiali saluti li scriviamo.