https://www.youtube.com/watch?v=VG8xTwhNcPQ&feature=youtu.be&fbclid=IwAR2LalSs196b0EWS-Jj3RfJ0CAoWnO2PLp5SwYRNi25g0-3d_VL0r3zR-mI
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giovedì 31 ottobre 2019
432 Hz. Il suono può guarirti?
42 minuti di video. Interessante.
"432 Hz. Il suono può guarirti? - Martina Crepaldi, Giordano Sandalo"
https://www.youtube.com/watch?v=VG8xTwhNcPQ&feature=youtu.be&fbclid=IwAR2LalSs196b0EWS-Jj3RfJ0CAoWnO2PLp5SwYRNi25g0-3d_VL0r3zR-mI
https://www.youtube.com/watch?v=VG8xTwhNcPQ&feature=youtu.be&fbclid=IwAR2LalSs196b0EWS-Jj3RfJ0CAoWnO2PLp5SwYRNi25g0-3d_VL0r3zR-mI
martedì 29 ottobre 2019
MONACO MUMMIFICATO RIVELATO ALL'INTERNO DELLA STATUA BUDDHA DI 1.000 ANNI
MONACO MUMMIFICATO RIVELATO ALL'INTERNO DELLA STATUA BUDDHA DI 1.000 ANNI.
Test scientifici hanno rivelato che un'antica statua buddista contiene i resti perfettamente conservati di un monaco mummificato di 1.000 anni fa, in quello che si ritiene sia l'unico esempio al mondo.
Si pensa che il monaco, che si trova nella posizione del loto, si sia fatto morire di fame in un atto di estrema devozione spirituale in Cina o in Tibet nel X secolo. I suoi resti conservati furono esposti nel suo monastero.
Circa 200 anni dopo, forse dopo che i suoi resti iniziarono a deteriorarsi, il suo corpo mummificato fu collocato all'interno dell'elaborata statua laccata di Buddha.
I contenuti insoliti della statua furono scoperti negli anni '90 quando la statua fu restaurata. Gli esperti non sono stati in grado di rimuovere la mummia a causa del rischio di disintegrazione, quindi potevano fare poco più che scrutare nella cavità oscura del Buddha
Ora, un team internazionale di scienziati tedeschi, olandesi e italiani ha condotto una TAC che ha rivelato lo scheletro del monaco in perfetto dettaglio.
"Non è raro che i monaci pratichino l'automummificazione, ma trovare un monaco mummificato all'interno di una statua è davvero straordinario", ha dichiarato Wilfrid Rosendahl, paleontologo tedesco che ha guidato la ricerca. "È l'unico esempio conosciuto al mondo.
"Usando una TAC, abbiamo visto che c'era un corpo perfettamente conservato con pelle e muscoli all'interno della statua. È una mummia completa, non solo uno scheletro. Aveva un'età compresa tra 30 e 50 anni."
La mummia è stata studiata da un team interdisciplinare di esperti, tra cui specialisti della datazione al carbonio e analisti tessili, presso il Meander Medical Center di Amersfoort, nei Paesi Bassi.
Usando un endoscopio, gli esperti hanno prelevato campioni dall'interno delle cavità toraciche e addominali della mummia e hanno scoperto che gli organi del monaco erano stati rimossi e sostituiti con antiche mazzette di carta stampate con caratteri cinesi.
Sono stati anche prelevati campioni di osso per il test del DNA.
La statua del Buddha fu acquistata diversi decenni fa sul mercato dell'arte da un collezionista privato olandese, che non aveva idea che la mummia fosse nascosta all'interno.
Andrà in mostra nei musei di tutta Europa, ed è attualmente nel Museo di Storia Naturale di Budapest.
"Il monaco morì in un processo di auto-mummificazione", ha detto la dott.ssa Rosendahl.
"Durante le ultime settimane avrebbe iniziato a mangiare meno cibo e a bere solo acqua. Alla fine sarebbe andato in trance, avrebbe smesso di respirare e sarebbe morto. In pratica si è fatto morire di fame.
"Gli altri monaci lo avrebbero avvicinato al fuoco per asciugarlo e metterlo in mostra nel monastero, pensiamo da qualche parte in Cina o in Tibet.
"Probabilmente rimase seduto per 200 anni nel monastero e i monaci si resero conto che aveva bisogno di un po 'di sostegno e di conservazione in modo da metterlo all'interno della statua."
I monaci mummificati non erano solo il fulcro della devozione religiosa, ma erano importanti per l'economia del monastero perché attiravano pellegrini che offrivano donazioni.
Link: https://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/germany/11432544/Mummified-monk-revealed-inside-1000-year-old-Buddha-statue.html?fbclid=IwAR2l_DgsDlGr0ePAtx4n-7x9OzjT27DjbWZaMjPJ31OuBwPncw8i1catmp0
OBESITA' E SALUTE. Chirurgia per perdere peso: chi può sottoporsi a intervento?
Chirurgia per perdere peso:
chi può sottoporsi a intervento?
In collaborazione con
Redazione Humanitas News pubblicato il 17 giugno 2016 in Malattie e cure
La chirurgia bariatrica, cioè il
trattamento chirurgico volto alla drastica riduzione di peso, è un’opzione
scelta ogni anno da centinaia di soggetti in grave obesità che vogliono
cambiare radicalmente stile di vita. Non si tratta di una scelta dettata
semplicemente da ragioni estetiche, ma soprattutto salutistiche: l’obesità
comporta gravi rischi e accorcia l’attesa di vita di almeno 10 anni.
L’intervento chirurgico è una strada percorribile ed è l’unica terapia che
permetta oggi di perdere la maggior parte del sovrappeso con basso rischio di
fallimento, cioè di recuperare il peso perso. La chirurgia bariatrica però non
è adatta a tutti: i pazienti che si candidano per un intervento di questo
genere devono essere valutati in modalità multidisciplinare (chirurgo,
dietologo e psicologo) e il paziente per essere operato deve ricevere
l’idoneità da questo gruppo di esperti dedicati. Ne parliamo con il dottor Giuseppe
Marinari, Responsabile di
Chirurgia Bariatrica di Humanitas.
Quali sono
gli interventi chirurgici a cui è possibile sottoporsi?
“Gli
interventi possibili e validati a livello internazionale sono quattro –
risponde il dott. Marinari -: bendaggio gastrico, sleeve gastrectomy, bypass gastrico e diversione biliopancreatica. Indicativamente
possiamo dire che i primi due sono più semplici e mentre gli ultimi 2 sono un
po’ più complessi. In Humanitas possiamo svolgerli tutti, ma in genere il
secondo ed il terzo (Sleeve e bypass gastrico) sono i più gettonati”.
Chi può sottoporsi a intervento?
“I pazienti
dai 18 ai 65 anni con obesità di terzo grado, cioè con un indice di massa
corporea superiore a 40, oppure con obesità
di secondo grado, cioè con un indice di massa corporea maggiore di 35 ma
affetti da una o più patologie legate al sovrappeso: diabete, ipertensione
arteriosa, displipidemia, apnea notturna, severe e documentate patologie
ortopediche che necessitino di calo ponderale”. L’indice di massa corporea,
indicato anche come BMI, si calcola
dividendo il peso in kg per il quadrato della statura espressa in metri.
“Al di là
delle caratteristiche fisiche, deve essere fatta una valutazione del paziente
che tenga conto anche degli aspetti alimentari-dietologici e psicologici”,
prosegue il dott. Marinari.
In cosa consiste la
valutazione?
“Bisogna
inquadrare lo stato di salute generale del soggetto, andando a ricercare le
possibili complicazioni dell’obesità, in
particolare la presenza e la gravità di complicazioni metaboliche, cardiache o
respiratorie. La valutazione deve anche accertare se il paziente in passato
abbia compiuto almeno un tentativo serio (meglio se più di uno) di dieta ben
condotta: è fondamentale. Bisogna inoltre indagare il suo rapporto con il cibo,
l’eventuale presenza di disturbi psicologici e la capacità/volontà di
collaborazione del paziente. Se è ritenuto idoneo, si valuta l’intervento
chirurgico più adatto”.
Quanti pazienti che si candidano per
l’intervento non vengono ritenuti idonei?
“Circa la
metà. Ogni anno in Humanitas svolgiamo 800 interventi di chirurgia bariatrica,
ma le valutazioni che facciamo sono almeno il doppio. Una parte di queste si
tiene all’interno della struttura ospedaliera, una parte invece nei nostri
ambulatori in varie città italiane. È possibile che la valutazione abbia esito
negativo per motivi di natura psicologica o per l’assenza di precedenti
tentativi di dieta o perché nella valutazione rischio/beneficio si valuti
meglio non operare, ma capita anche che sia il paziente stesso a tirarsi
indietro dopo aver ascoltato di cosa comporta l’intervento e dei rischi ad esso
connessi”.
Quali sono i rischi?
“Nel 97%
degli interventi non ci sono problemi. Nel restante 3% si verificano invece
delle complicazioni, le stesse che possono accadere dopo qualunque intervento
chirurgico: nel 2% dei casi c’è sanguinamento post operatorio, nel 5-6 per
mille ci sono delle infezioni. La mortalità è dell’1,7 per mille, ma nel nostro
gruppo Humanitas è molto più bassa”.
Quali sono i vantaggi?
“L’opzione
chirurgia oggi è davvero l’unica a disposizione di chi deve perdere molto peso
– spiega il dott. Marinari. – Il vantaggio è che il peso che si perde per
solito non viene ripreso, anche perché, ad esempio, la sleeve gastrectomy ed il
bypass gastrico riducono la fame e quindi portano a mangiare meno
spontaneamente. Se prendiamo cento persone con BMI pari o superiore a 40 che
seguono un regime alimentare dimagrante, fanno attività fisica e sono seguiti
da un supporto psicologico, in media solo 10 di questi riescono a perdere il
10% del proprio peso corporeo e a mantenere il risultato per cinque anni. Gli
altri 90 non ci riescono o perdono molti più chili ma poi li riprendono. Nel
caso della chirurgia bariatrica i numeri sono ribaltati: la stragrande
maggioranza ottiene un risultato duraturo, perché si ottiene un dimagrimento
che porta anche un cambiamento fondamentale dello stile di vita che altrimenti
non sarebbe così facile ottenere. Accanto alla perdita di peso si osserva anche
la scomparsa della maggior parte delle malattie associate (diabete,
ipertensione arteriosa, apnee notturne, dislipidemia): in pratica il rischio di
morte per malattia cardiovascolare è ridotto del 50%, così come il rischio di
ammalarsi di alcune forme di tumore legate all’eccesso di tessuto adiposo”.
Altri
vantaggi li offre la struttura ospedaliera di Humanitas, conclude il dott.
Marinari: “Siamo un centro ad alto volume (più di 800
interventi all’anno) e l’unico in Italia dove questi interventi
chirurgici sono fatti in fast track, cioè si
segue un ben definito protocollo ERAS (Enhanced recovery after surgery): grazie
a questo il recupero postoperatorio è rapido ed ottimale, ed è possibile
dimettere in sicurezza gli operati dopo solo due notti di ricovero”.
domenica 20 ottobre 2019
Anemia e coaguli: un delicato equilibrio (trombosi, embolo, chemioterapia assassina)
Anemia
e coaguli: un delicato equilibrio
Le cellule del
sangue e i fattori che governano la coagulazione sono frequentemente coinvolti
nei tumori, dando luogo a problemi i cui sintomi vanno tenuti sotto controllo.
I pazienti
oncologici sanno bene che una delle manifestazioni più comuni della loro
malattia è l'anemia, che provoca una sensazione generalizzata di
spossatezza.
Molto comune, ma
spesso poco considerata, è anche la trombosi, ovvero la formazione di coaguli nelle vene o, meno
frequentemente, nelle arterie. La trombosi in alcuni casi si verifica come
effetto collaterale di dosaggi non idonei dei farmaci utilizzati per correggere
l'anemia.
L'anemia è un
sintomo caratteristico della maggior parte dei tumori sia all'esordio sia
soprattutto in corso di chemioterapia. Circa il 35 per cento delle persone
con un tumore
solido (cioè non
del sangue o del sistema linfatico) già all'inizio della malattia presenta
anemia, e questa percentuale sale al 50 per cento quando il paziente è affetto
da un tumore delle cellule del sangue.
Le ragioni della
spossatezza
I motivi per cui un paziente
oncologico diventa anemico sono molteplici. Ci sono spesso delle perdite di sangue microscopiche nei tessuti malati (come
accade nei tumori del sistema gastroenterico) oppure carenze nutrizionali: la persona ha una sensazione
di malessere generalizzato che la porta a mangiare meno e comunque a non avere
una dieta equilibrata. Inoltre si sente così stanca da non riuscire a far
fronte nemmeno agli impegni quotidiani più banali.
I tumori rilasciano sostanze
tossiche che hanno un effetto deleterio sul midollo osseo, che è la fabbrica dei globuli rossi. È proprio qui
che avviene il danno principale, ancora maggiore nel caso in cui le cellule
tumorali invadano il midollo. A questo quadro bisogna poi aggiungere gli effetti della chemioterapia.
Negli ultimi anni sono stati
prodotti nuovi farmaci antitumorali e sviluppate modalità di somministrazione
che hanno ridotto gli effetti collaterali. Tuttavia la maggior parte dei
farmaci antitumorali ha come principale bersaglio il DNA, una molecola essenziale alla
proliferazione delle cellule. I farmaci interferiscono con la replicazione del
DNA, e in questo modo la crescita incontrollata delle cellule tumorali viene
bloccata. Inevitabilmente però sono colpite anche le cellule sane del nostro
organismo che si riproducono velocemente, tra cui quelle del sangue.
Così la chemioterapia può ridurre la capacità
del midollo osseo di produrre globuli rossi, che trasportano l'ossigeno in
tutte le parti dell'organismo. Quando i globuli rossi sono pochi, i tessuti non
ricevono abbastanza ossigeno per la loro attività e compaiono i sintomi
dell'anemia. Frequentemente i pazienti lamentano una sensazione generalizzata
di debolezza e stanchezza cui si possono accompagnare vertigini, perdita
dell'attenzione, pallore della cute e delle labbra o addirittura difficoltà
respiratorie con deterioramento generale della qualità di vita.
Come contenere
l’anemia
L'anemia può incidere negativamente
sull'efficacia delle terapie, indipendentemente dal tumore cui è associata e
per questo va continuamente controllata e corretta. Ma come si può curarla
senza vanificare l'effetto delle cure contro le cellule tumorali? Le strategie
possibili sono diverse.
Quando l'anemia è grave, per una
correzione rapida in genere si fanno trasfusioni di sangue. In caso di forme meno gravi si
ricorre a un trattamento con farmaci quali l'eritropoietina umana ricombinante (epoetina). La stessa sostanza è naturalmente prodotta dal rene
umano, stimola il midollo osseo a produrre globuli rossi ed è nota al
grande pubblico perché il farmaco è anche utilizzato nel doping sportivo.
L'efficacia terapeutica sia delle trasfusioni, sia dell'eritropoietina, a volte
utilizzate contemporaneamente, può essere seguita misurando i livelli di
emoglobina nel sangue.
Queste terapie contro l’anemia
non sono tuttavia prive di rischi, che si possono limitare seguendo specifiche
linee guida: ricorrere al farmaco solo quando la concentrazione dell'emoglobina
nel sangue scende molto al di sotto dei livelli stabiliti e continuarlo solo in
caso di misurata efficacia (aumento dell'emoglobina o diminuzione della
frequenza delle trasfusioni).
Sebbene oggi sia
disponibile un'eritropoietina di nuova generazione più efficace e sicura, gli
effetti collaterali sono comunque presenti. Il rischio maggiore è il
sovradosaggio, con una conseguente produzione di globuli rossi superiore alle
necessità. Troppi globuli rossi possono causare rallentamenti o addirittura
intasamenti nei vasi sanguigni, favorendo la formazione di trombi.
segue qui: CLICK QUI
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TUMORE DEL PANCREAS, SOTTO ACCUSA STILI DI VITA NON SANI
Gli abitanti del Nord Italia si ammalano di più di tumore del pancreas rispetto a quelli del Sud. Quest’anno il numero di nuovi casi riscontrati nel Mezzogiorno rispetto al Settentrione sono il 21% in meno tra gli uomini e il 24% tra le donne. E anche al Centro le neoplasie registrate sono inferiori del 15%. Uno dei motivi di queste differenze è da ricercare nelle diverse abitudini alimentari. Il maggiore consumo di frutta e verdura fresche, tipico della dieta mediterranea, protegge dal rischio di insorgenza della neoplasia. Sono questi alcuni dei dati presentati dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) in occasione della Seconda Giornata Mondiale sul Tumore del Pancreas. “E’ una patologia particolarmente insidiosa - afferma Giordano Beretta segretario nazionale AIOM -. Sotto accusa sono soprattutto gli stili di vita non adeguati. Il fumo provoca il 30% dei casi nei maschi e il 10% nelle femmine. Il grave eccesso di peso aumenta il rischio del 12%, mentre i diabetici hanno il doppio delle probabilità di ammalarsi. Per aumentare l’informazione tra i cittadini, .... (SEGUE NEL LINK SEGUENTE):
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Nei pazienti oncologici, il tromboembolismo venoso è la seconda causa di morte dopo il tumore. Una complicanza frequente, ma a volte ancora sottovalutata
La relazione, nota da tempo, è nella maggior parte dei casi ignorata dai pazienti. La trombosi e i tumori viaggiano spesso a braccetto.
La prima è infatti una complicanza frequente nei pazienti oncologici, ma in realtà anche un episodio cardiovascolare può far crescere la probabilità di ammalarsi di alcuni tumori (colon, pancreas, polmone), come emerso da uno studio apparso di recente sulle colonne della rivista Circulation.
Mediamente, una persona colpita da un tumore su tre incorre in eventi tromboembolici, che possono impattare sulla qualità della vita e aumentare la sua fragilità.
Il problema è che questa correlazione - frequente e seria - è spesso ignorata o sottovalutata dai pazienti. E, talvolta, anche dai medici.
(SEGUE: https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/cardiologia/trombosi-un-rischio-spesso-sconosciuto-ai-malati-di-cancro
(SEGUE: https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/cardiologia/trombosi-un-rischio-spesso-sconosciuto-ai-malati-di-cancro
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