I NUOVI DISCHI IN VINILE SONO
UNA FREGATURA
Che siate giovani in
cerca di nuove esperienze tecnologiche o ultracinquantenni che sperano di
rallentare la senescenza recuperando il giradischi di gioventù dalla
cantina, sconsiglio di comprare dischi di vinile di nuova produzione,
quelli che ormai si trovano persino nei centri commerciali e che costano
sedici, venti, addirittura cinquanta euro, che si tratti di ristampe di vecchi
titoli o di nuove produzioni viniliche parallele alla pubblicazione su Cd e/o
download.
Vi spiego perché.
Vi spiego perché.
Per quel che riguarda
le ristampe di vecchi titoli, quelli pubblicati in vinile fino alla
fine degli anni ottanta, il primo motivo per cui non ha senso comprare
un‘edizione attuale è il più ovvio: non ha senso pagare 19,90 euro la ristampa
vinilica di Steppenwolf di Peter Maffay (1979) quando
l‘originale uscito quarant‘anni fa si trova ai mercatini a un euro, e online
persino a 10 centesimi, spesso in condizioni ottime.
Perché spendere 24 euro per un vinile, quando ai mercatini si può comprare
a un euro? (foto dell’autore – Mercatino delle pulci di Kennedy Platz, Berlino)
Poi quasi sempre la
stampa originale è migliore di quella attuale. I macchinari in uso oggi sono
quelli scampati alla distruzione alla fine degli anni novanta, hanno alle
spalle la stampa di decine o centinaia di milioni di copie, e pur con la
migliore manutenzione non sempre riescono a garantire la potenza di pressaggio
necessaria. In generale sono macchine che fanno quello che possono, con pezzi
di ricambio perlopiù cannibalizzati da presse fuori uso. A questo si aggiunge
che pur di giustificare i prezzi audiofili (anche 50 euro per
un disco che alla fabbrica costa un euro di media) alcune etichette stampano
dischi molto spessi, da 180 e persino 200 grammi (contro i 140-120 grammi dei
vecchi dischi), che in teoria dovrebbero essere maggiormente resistenti alle
ondulazioni e per qualche motivo esoterico dovrebbero suonare meglio di quelli
sottili degli anni settanta. Ma, a parte il fatto che anche il più sottile dei
dischi si piega solo se lo lasci al sole, queste edizioni per eletti suonano
spesso peggio di quelle normali: già le presse faticano a stampare un disco di
spessore normale, figuriamoci uno così impegnativo.
Un altro indotto creato dalla moda del vinile: i preamplificatori per
giradischi costano da 20 a 5.000 euro, ma dentro ci sono sempre più o meno gli
stessi componenti (nella foto i preamplifcatori in uso da Seventies Berlin –
The Vinyl Radio)
Un altro motivo per cui
è quanto meno rischioso comprare una ristampa di un vecchio titolo è il cutting:
l’incisione della cosiddetta lacca, il disco originale da cui si otterrà la
matrice per la duplicazione, un’operazione che nel periodo della produzione
industriale del vinile era compiuta da professionisti esperti. Non solo il
nastro originale va valutato per verificare che l’ingegnere di mastering abbia
ottimizzato la registrazione per il vinile (un errore, e la puntina di
incisione da 10.000 euro si frantuma), ma il tecnico deve anche
costantemente seguire con un microscopio (la cui immagine è perlopiù proiettata
su un monitor) l‘andamento dell‘incisione, avvicinando e allontanando
manualmente i solchi a spirale mentre scorre la musica, a seconda della
situazione sonora: un passaggio sonoro complesso e forte richiede solchi ben
distanziati, un pianissimo permette di risparmiare spazio. È un mestiere non
facile, bisogna conoscere bene le tracce che si sta incidendo (si deve sapere
che fra dieci secondi arriva un colpo di batteria e preparare i solchi) e si
deve sapere come ottimizzare i livelli sonori rispetto alla durata e allo stile
musicale del disco. È tecnica, arte ed esperienza in pari misura, ed è un
compito di responsabilità anche dal punto di vista economico: se si commette un
errore in incisione bisogna ricominciare da capo, mezz’ora di lavoro buttata
via e una costosissima puntina di incisione usurata inutilmente. Su YouTube
troverete decine di video dimostrativi del funzionamento di un tornio di
cutting, ma siccome sono quasi tutti pubblicitari vi propongo questo muto di
trenta secondi: la luce a sinistra è quella della telecamera che riprende i
solchi man mano che sono creati, a destra si vede la testina di taglio. Nel
corso dei decenni sono stati sviluppati strumenti atti a facilitare il lavoro
del cutter: la Denon aveva a un certo punto messo sul mercato un sistema che
permetteva di ascoltare con dieci secondi di anticipo ciò che sarebbe stato
inciso, permettendo di regolarsi con comodo e senza conoscere i brani a priori,
e di recente ho letto di macchine computerizzate in grado di autoregolare il
procedimento in base alla musica, ma ne ho solo letto.
Geoff Emerick (l‘ingegnere del suono che ha registrato tutti i dischi dei Beatles, tranne Let It Be, scomparso lo scorso 10 ottobre), nel suo bel libro Here, There and Everywhere racconta che tra una sessione in studio e l’altra si occupava personalmente del cutting delle lacche, il che evidenzia la criticità dell‘operazione e spiega perché le prime edizioni dei Beatles suonino così bene. Alcuni collezionisti pignoli selezionano l’edizione da comprare di un certo disco anche basandosi su chi ne ha realizzato il cutting, identificato da iniziali, simboli semisegreti o firme incisi a mano tra i solchi di fine disco. Non che oggi non esistano bravi ingegneri di cutting, al contrario, ma se non si va sul sicuro, il rischio di comprare un disco inciso male esiste.
Il libro di Geoff Emerick di cui consiglio la lettura. L’autore è purtroppo
scomparso a inizio ottobre 2018
C‘è poi un motivo di
ordine filosofico. Dicono: ah, il suono analogico del vinile! Già,
solo che pressoché nessuna fabbrica attuale ricava le matrici dei vinili dai
nastri originali: oggi i vinili sono quasi tutti stampati partendo da una fonte
digitale, a volte persino da file mp3 inviati per email. Diranno che non ha
importanza, importa che una volta rimodulato dal supporto vinilico, il suono è
comunque più bello, più morbido, più caldo. Può darsi, tuttavia penso che se si
accetta di introdurre il digitale nella catena di produzione teoricamente
analogica, tanto vale piazzare un filtro digitale da poche centinaia di euro
nel proprio impianto stereo che riproduca l‘effetto vinilico. Esistono sì
piccoli studi in grado di realizzare matrici partendo dal nastro, certo sono
più costosi, e resta il fatto che nei grandi stabilimenti di pressaggio di
nastri non ne ho ancora visti.
Postazione di digitalizzazione vinili per la successiva trasmissione (foto
Seventies Berlin – The Vinyl Radio)
Insomma, un vecchio disco costa quasi
sempre molto meno, ha più senso e suona probabilmente meglio di una ristampa
moderna se non altro perché è l‘ultimo anello di una catena produttiva
industriale organica nella quale ogni operazione era affidata ai migliori
professionisti, che lavoravano con macchinari dalla manutenzione perfetta.
Aggiungo che per motivi non sempre chiari (forse mescole di vinile di bassa
qualità oltre alla solita pressione di stampa inadeguata), a volte i dischi di
nuova produzione sono rumorosi, Hanno cioè un soffio pronunciato o un rombo
insistente, o rumori come quelli prodotti da una superficie graffiata. Per non
parlare di quelli colorati e dei picture disc, che hanno sempre suonato e
continuano a suonare male, non comprateli, né vecchi né nuovi.
I dischi pop presentano di norma cinque tracce a facciata; dischi con un
numero maggiore di tracce, come alcune compilation, suonano sicuramente così
così (foto Seventies Berlin – The Vinyl Radio)
Vediamo ora perché
evitare anche le nuove produzioni proposte su vinile. Diversi
gruppi e cantanti contemporanei si fanno un punto di onore il pubblicare le
loro novità anche su disco, accanto a mp3 e Cd: l’insensatezza della cosa,
prescindendo dalla moda, mi pare notevole. Le tecniche digitali audio sono
molto più difficili da padroneggiare rispetto ai vecchi mixer analogici e
registratori a nastro, ma dopo un paio di decenni di tentennamenti, ora dagli
studi migliori escono registrazioni digitali perfette (non quelle di musica
classica, che continuano a essere in media scarse). Registrazioni che per
essere travasate su vinile vanno limate se non mutilate: i bassi diventano
monofonici, la dinamica va adattata alle limitate risorse del supporto, alcune
frequenze vanno esaltate, l’ordine dei pezzi va pensato considerando che le tracce
interne suonano peggio di quelle esterne eccetera. Quello che in digitale suona
magnificamente, su vinile suona benino. Come comprare una Bmw Serie 3 e poi
sostituirne il motore con quello di una Alfasud. Non andate a spendere trenta
euro per una nuova release che in download o Cd ne costa nove,
e niente se la scaricate da YouTube.
Per essere trasferita su vinile, una registrazione digitale va adattata in
postproduzione, deteriorandola (foto Seventies Berlin – The Vinyl Radio)
Esiste una eccezione a questo discorso,
riguarda le registrazioni perlopiù jazz che ancora sono realizzate in analogico
e trasferite da nastro su vinile. In tal caso sì, può valer la pena spendere
qualcosa di più. Però bisogna conoscere le etichette, perlopiù piccolissime, per
andare sul sicuro. Non dimenticate che tutta questa faccenda del vinile è
soprattutto una enorme trovata commerciale, non è che gli inventori dei Cd
fossero degli sciocchi senza orecchie, come molti audiofili vorrebbero far
credere, anche se è vero che Il Cd è stato male utilizzato, come spiegherò in
un prossimo articolo.
Mixer analogico di distribuzione e messa in onda (foto Seventies Berlin –
The Vinyl Radio)
Da questo breve discorso
si evince che le nuove produzioni conviene comprarle su Cd o download. Per
quelle vecchie, in linea di massima è bene prenderle su vecchio vinile, non su
nuovo e neppure su Cd, ma esistono eccezioni: per esempio l’edizione su Cd
di The Kick Inside, di Kate Bush del
1979, suona meravigliosamente bene, come anche la serie jazz rimasterizzata per
il CD da Rudy Van Gelder. Di questo e di altri argomenti vinilici parlerò in
prossimi articoli. Intanto godetevi Wuthering Heights, tratto dal
disco citato di Kate Bush: dopo quarant’anni mi dà ancora la pelle d’oca.
Siccome siamo in tempi di
gente che si incavola facile: quanto scritto esprime la mia opinione, maturata
in decenni di frequentazione di sistemi audio amatoriali e professionali. Non
escludo che esistano produzioni viniliche contemporanee di altissimo livello e
prezzo contenuto, nel qual caso sarò più che lieto di recensirle favorevolmente
smentendomi parzialmente.
(Salvo diversa indicazione, le immagini sono state gentilmente
fornite da Seventies Berlin – The Vinyl Radio).
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