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giovedì 13 agosto 2020

Angelo Bergamonti di Gussola: un campione di motociclismo sfortunato ma passato alla gloria!

 Il 4 aprile 1971, dopo una caduta sul circuito di Riccione battuto dalla pioggia moriva Angelo Bergamonti, 32enne pilota ufficiale della MV Agusta, compagno di squadra di Giacomo Agostini.


In quel maledetto tempestoso pomeriggio, sui viali del lungomare della riviera romagnola, il forte pilota di Gussola (Cremona) dava addio ai suoi sogni di gloria, lasciando un vuoto incolmabile nel motociclismo de “I giorni del coraggio”, un motociclismo tanto affascinante quanto crudele e impietoso.

Angelo Bergamonti arrivò tardi a coronare il sogno di correre per la Casa più titolata e competitiva di allora, la MV Agusta ingaggiato dalla Casa di Cascina Costa all’età di 31 anni a fine 1970 per “stimolare” e fare da spalla al ben più quotato e famoso Giacomo Agostini. Ma Bergamonti, persona leale con l’indole del vincente, non si adattò al ruolo di seconda guida e dopo i due podi di Monza dietro Ago all’esordio con le 350 e 500 varesine e la successiva doppietta vincente di fine stagione al GP di Spagna del Montjuich (assente Agostini per una gara inglese non iridata a Caldwell Park) pensò di poter guadagnare i galloni di capitano già dal 1971.

Nella prima gara stagionale del 19 marzo ’71 all’autodromo di Modena i due piloti della MV Agusta si dividono la torta: Bergamonti primo nella 350 davanti ad Agostini (staccato di 8”.6) e con Mino primo nella 500 con 2”.6. Nella successiva corsa, a Rimini, la 350 finisce in volata con Ago primo ma “bruciato” nella 500 da Bergamonti, che batte così per la prima volta il pluri iridato nella classe regina.

In un clima surriscaldato e teso per la crescente rivalità dei due effervescenti “galletti” nello stesso pollaio si giunge così il 28 marzo 1971 alla gara internazionale sul circuito di Riccione. Ma l’imperversare del maltempo costringe gli organizzatori del “Perla verde” a posticipare la corsa di una settimana rendendo tutti contenti anche perché dal 29 marzo il sole torna a risplendere in riva all’Adriatico.

Ma il destino non fa sconti e non cancella l’appuntamento con il giorno fatidico. Il 4 aprile si presenta con la stessa cornice invernale della settimana precedente e il cartello pubblicitario “Un pieno di sole a Riccione” scompare nel nubifragio che imperversa proprio alla partenza della 350. Scrivevamo tempo fa su Motoblog.

“La tre cilindri di Bergamonti recalcitra alla partenza, costringendo il pilota nell’imbuto del gruppone, mentre Agostini s’invola in testa. Visibilità ridotta al lumicino, pozzanghere e spruzzi ovunque, moto come mezzi anfibi. La corsa pare già chiusa. Ma Bergamonti infiamma gli oltre 40 mila presenti con una straordinaria rimonta che lo porta fin quasi all’aggancio del battistrada Agostini. Dopo due giri record, al termine del settimo giro, sul rettifilo che porta alla rotonda del traguardo, Angelo tenta l’impossibile allungando ancora la staccata: la moto s’intraversa violenta innescando la fatale parabola.

Non ripetiamo qui quella drammatica scena vista dal vero da chi scrive queste note, e più volte descritta. Moto e pilota piroettano sul lago d’asfalto, alla fine la tre cilindri si schianta nelle balle di paglia della “rotonda” e il pilota termina la corsa con un terribile scarto conclusivo sul cordolo di destra, a ridosso del pubblico attonito. La gara prosegue con Ago che vince la sua corsa più triste perdendo un rivale e un amico. Trasportato prima all’ospedale di Riccione poi, per le condizioni disperate al Bellaria di Bologna, Angelo cessava di vivere alle 23,45.

Il motociclismo piomba subito nella spirale di polemiche senza senso, tanto da portare il Governo ad abolire con un decreto legge le corse sui tracciati cittadini chiudendo così un’epoca ultradecennale di gloria e tragedie”.

Allora Agostini era all’apice della sua carriera mentre Bergamonti, dopo anni di faticosa corvèe (inizi nel 1957 con cadute e fratture, poi sempre battagliero con le Aermacchi 125, 250, 350, 410, le Paton 500, la Morini 250 bialbero) pareva finalmente pronto – dopo tre titoli italiani in 125, 250, 500 e 4 GP vinti - per l’ingresso fra i grandi e la scalata al titolo iridato. Una carriera di tutto rispetto, recisa dal colpo inappellabile della dea bendata. Angiulein pagava così con la vita il conto più beffardo e tremendo alla sua passione per le corse.


Pilota coriaceo, da mischia, mai domo, gran staccatore, eclettico, tecnico, capace di mettere a punto ogni motore e di adattarsi alla guida con moto di ogni cilindrata, 2 o 4 tempi, mono o plurifrazionate. Chi scrive lo ricorda come un ragazzo sereno, sorridente, umile ma non modesto perché sapeva quanto valeva in pista. Pilota preparato, sempre indaffarato e scrupoloso in ogni sua azione, mai arrogante mai sconsolato, sempre pronto a dare una mano a chi gli chiedeva una chiave, una candela, un consiglio.


Ci ripetiamo: Angelo Bergamonti rispettava tutti, non solo Agostini, di cui nutriva amicizia e forte considerazione. Si scrisse che morì per inseguire Agostini. Ma Angelo non voleva emulare nessuno. Voleva appagare il suo desiderio di competere, mettere le ali al suo sogno di passare veloce sotto la bandiera a scacchi. Prima di tutti gli altri. Anche davanti a se stesso. Lassù è certo in buona compagnia. E il titolo iridato glielo hanno consegnato, pur se in ritardo.

Di Massimo Falcioni sabato 4 aprile 2015